Tecnologie innovative, Materiali, Progettazione e Rischio Zero – Riprendiamoci il futuro.
In questi ultimi tempi, numerosi sono stati gli interventi di alcuni esperti sul tema delle tecnologie innovative e della sicurezza degli edifici, in riferimento alla accettabilità del rischio di collasso, sia per le nuove costruzioni così come per gli interventi di manutenzione e ripristino strutturale del patrimonio edilizio preesistente.
Tuttavia queste valutazioni non possono essere riferite esclusivamente alla progettazione ingegneristica in senso stretto (utilizzo di codici e normative ai fini strutturali) ma devono ricomprendere in modo equipollente al calcolo, le tecnologie innovative e nuovi materiali impiegati.
E partendo proprio dai materiali (nuovi o meno nuovi che siano) vorremmo portare il nostro contributo al dibattito in corso.
Rischio Zero
Ad oggi l’affidabilità strutturale di un opera in c.a. o muratura, dipende dai codici progettuali cogenti, dai materiali e dalle tecnologie applicative validate, rendendo bassa la probabilità di un evento negativo ma certamente tale da non escludere la probabilità del collasso (rischio zero) Pertanto occorre evidenziare che solo la validità dei codici progettuali, l’affidabilità in esercizio dei materiali, la competenza del progettista e quella del tecnologo dei materiali, sono gli unici strumenti per ridurre (non azzerare ahimè!) il rischio di collasso delle strutture edilizie.
Ed è in questo contesto generale in cui dissertiamo di codici progettuali, di nuove tecnologie impiantistiche ed applicative occorre affrontare l’argomento materiali in un’ottica diversa, in modo che il PROGETTO di un’opera sia l’ibridizzazione di diverse competenze e non semplicemente il risultato di un calcolo.
Materiali
All’inizio degli anni ’90 su invito di un’azienda giapponese, ho visitato un’azienda di prefabbricati, accompagnato da alcuni imprenditori italiani del medesimo settore.
La prima cosa che notammo fu l’attenzione scrupolosa nella scelta dei materiali.
Tutte le armature metalliche, dai cavi alle reti, erano interamente trattate con resina epossidica per evitare la corrosione durante la vita in esercizio dell’elemento strutturale.
Travi, solette, pannelli e pilastri, dopo lo scassero, venivano posti in piscine di acqua per la maturazione fino a 28 giorni.
Alla domanda del perché di questo trattamento, la risposta è stata tanto semplice quanto geniale: non si potevano permettere di eseguire una manutenzione programmata efficace, in caso di ammaloramento per corrosione dell’armatura o non perfetta maturazione della pasta cementizia, su elementi strutturali posizionati in edifici di oltre 5 piani!
…. Stiamo parlano degli anni ’90!
Notammo che già da allora venivano prodotti pannelli di tamponamento, barriere protettive tipo new jersey, con fibre polimeriche strutturali eliminando totalmente l’armatura metallica.
Se poi pensiamo all’introduzione dei sistemi FRP da parte della Mitsubishi alla fine degli anni ’90 e al successivo sviluppo di nuove fibre polimeriche (aramidiche, PBO, ecc.), ho la netta sensazione che l’approccio giapponese al settore delle costruzioni sia che la durabilità dei materiali impiegati predomini rispetto al calcolo e agli aspetti architettonici dell’opera.
Purtroppo questa sensibilità alla durabilità dei materiali da costruzione in Italia non è sufficientemente percepita sia per una carenza didattica a livello universitario sia per un’impostazione culturale che vede la progettazione strutturale ed architettonica (calcolo ed estetica), prevalere sull’affidabilità dei materiali impiegati.
Gli eventi infausti di questi ultimi anni- terremoti compresi – di infrastrutture collassate, degradate e poste fuori esercizio, di centinaia di migliaia di opere d’arte stradali di cui non si conosce la sicurezza strutturale ma ad oggi ancora in esercizio, di migliaia di edifici scolastici ed ospedali solo per citare alcune tipologie, non possono che farci riflettere sul fatto che molte di queste situazioni emergenziali, se non tutte, sono riconducibili all’impiego inadeguato dei materiali da costruzione.
Mi sovviene quanto è stato fatto in termini di interventi di ripristino sul viadotto Polcevera, oggetto di manutenzione fino dagli esordi, proseguendo negli anni con interventi che sembravano rincorrere, senza mai raggiungere, l’affidabilità completa del ripristino. Quest’ultima non poteva mai essere raggiunta, perché i materiali e le tecnologie utilizzate erano si, conformi alle normative vigenti, ma non sufficientemente adatti alla vita in esercizio.
Fintanto che non troveremo un legante strutturale a porosità zero che sostituisca il calcestruzzo
caratterizzato da una macro e microporosità, non potremo evitare i fenomeni, più o meno accentuati, di corrosione delle armature metalliche impiegate nel calcestruzzo armato.
Tuttavia possiamo tentare di avviare un processo tecnico-scientifico e normativo finalizzato a sviluppare tecnologie innovative edilizie METAL FREE. Mentre i codici progettuali – i calcoli – possono essere verificati in quanto fondati sulla matematica e la fisica per sostanziare soluzioni architettoniche anche ardite, sui materiali non esiste una base “scientifica” – fisica o matematica – in quanto le variabili condizioni ambientali e il tempo di esposizione non sono riconducibili a modelli matematici o fisici ma a processi chimico-fisici mutabili nel tempo e ad oggi non prevedibili.
E allora che fare?
Per prima cosa tentiamo di eliminare fin dall’inizio la corrosione delle armature, orientandoci ad un approccio Metal Free.
Proposte
Prefabbricazione
Anche se già esistono delle piccole infrastrutture realizzate senza armature matalliche (Metal Free) e augurandoci che possano continuare ad essere realizzate, proporrei di avviare presso gli stabilimenti di prefabbricazione studi e realizzazioni di elementi strutturali e non, totalmente esenti da elementi metallici, utilizzando reti, cavi e compositi con fibre polimeriche di vetro, aramide, carbonio, PBO, ecc.
La conseguente riduzione del copriferro, abbinata ad una corretta progettazione strutturale potrebbe ridurre il peso del manufatto anche del 40% (stando ad alcune realizzazione già eseguite negli Stati Uniti) e un conseguente risparmio di cemento (Green Economy).
A questo punto la Vita Nominale dell’opera realizzata con questi “Elementi Metal Free” sarebbe alleggerita dai costi di manutenzione dovuti alla corrosione delle armature e le conseguenti ricadute positive sui fenomeni di fatica delle strutture, dando un contributo significativo a mantenere nel tempo i livelli prestazionali iniziali.
Il soggetto prefabbricatore continuerà ovviamente a realizzare i tradizionali elementi ma aprirà una linea di nuove tecnologie che in futuro, anche per eventi attualmente non prevedibili ma probabili, sostituiranno la tradizionale linea di produzione.
Questo processo dovrà necessariamente coinvolgere lo strutturista, l’esperto di materiali e l’accademico per la validazione dei nuovi processi e per l’accettazione normativa a livello di MIT.
Ripristino strutturale, miglioramento ed adeguamento sismico.
Questo settore è stato quello che maggiormente ha risentito in questi anni di significative innovazioni, finalizzate a realizzare interventi durabili nel tempo.
Solo per ricordare alcuni esempi non possiamo non citare l’avvento dei sistemi FRP (fine anni ’90) che hanno sostituito quasi interamente, gli interventi di beton plaquè per i rinforzi strutturali del cemento armato.
Contemporaneamente (inizi anni 2000) venivano depositati i primi brevetti e realizzati diversi interventi pionieristici (rinforzo a taglio delle travi in c.a. dello Stadio S.Siro di Milano, ricostruzione della Cattedrale di Noto, ecc. ) con compositi FRCM, in cui alla resina epossidica viene sostituito come legante, un materiale inorganico, non infiammabile, traspirante e durabile in esercizio anche a temperature ed umidità relative alle quali le resine epossidiche perdono di efficacia per effetto della temperatura di transizione vetrosa.
Il passo successivo, a mio parere, sarà quello di portare a termine il processo scientifico, tecnologico e normativo per la totale eliminazione di elementi metallici, quali reti elettrosaldate con inserti e connettori metallici, fibre discrete metalliche, sostituendo con malte da ripristino con fibre polimeriche in grado di realizzare compositi con proprietà anche incrudenti, coprendo tutti gli ambiti applicativi delle tradizionali malte con fibre di acciaio.
Alcuni di questi compositi sono già stati realizzati e commercializzati; si tratta di cambiare mentalità e dimenticarsi del “metallo” per avviare, senza preconcetti, uno studio a vasto raggio coinvolgendo il mondo accademico ed avviare contemporaneamente un tavolo multidisciplinare (MIT, Accademici, Imprese) per la predisposizione di una normativa snella ed immediatamente fruibile.
A conclusione di queste osservazioni non vorrei che qualcuno pensasse che siano “le solite buone intenzioni”; da parte mia, che da più di 35 anni mi occupo di sviluppare materiali e tecnologie per le costruzioni, pensando alla loro durabilità in esercizio, c’è una forte determinazione a continuare in questa direzione. Credo però che solo attraverso l’ibridizzazione delle diverse competenze, sarà possibile avviare una fase innovativa nelle costruzioni nel nostro paese.
Giovanni Mantegazza
Technical Director and Co-Founder -MAHAC srl